L’umanità di Padre Pio

di Don Giovanni Antonacci

La dolcezza è un tratto poco conosciuto del carattere di Padre Pio, spesso presentato invece come un frate ed un confessore alquanto burbero. Quest’ultimo aspetto caratteriale è stato di fatto uno degli ostacoli nel corso del processo di beatificazione, ed è stato a tal proposito spiegato ed articolato da padre Di Flumeri in una quadruplice dimensione[1]: di richiamo, di difesa, di redenzione ed umana. Innanzitutto la dimensione di richiamo: come ha riconosciuto lo stesso San Giovanni Paolo II nell’Omelia pronunciata in occasione della canonizzazione del frate, anche quando quel singolare confessore trattava i pellegrini con apparente durezza, questi, presa coscienza della gravità del peccato e sinceramente pentiti, quasi sempre tornavano indietro per l’abbraccio pacificante del perdono sacramentale[2].

Padre Pio intendeva creare un tempo intermedio tra la prima e – molto spesso – la seconda venuta del penitente, nel quale questi potesse elaborare con maggiore consapevolezza il significato ed il valore spirituale del peccato e del sacramento che intendeva celebrare. Non di rado lo stesso penitente tornava inoltre a confessarsi, se non da Padre Pio, comunque da qualche altro frate o sacerdote del convento. Il frate di Pietrelcina poteva utilizzare un tale approccio pedagogico e pastorale solamente in quanto era dotato dallo Spirito Santo del carisma straordinario della scrutatio cordis, come avremo modo di approfondire più avanti. Qui aggiungiamo soltanto che gli atteggiamenti biasimati dal Santo potevano essere i più vari da parte dei pellegrini e dei penitenti: semplice curiosità priva di ricerca spirituale, voglia di vedere le stimmate del frate o comunque di assistere a tutti i costi ad un qualche evento soprannaturale, superstizione nel chiedere al confessore previsioni sul futuro quasi scambiandolo per un indovino, menzogna o reticenza nel confessare i propri peccati, e così via.

Vi era in secondo luogo una dimensione di difesa, che forse sarebbe più esatto definire di autodifesa, nell’essere a volte apparentemente scontroso di Padre Pio. L’eccesso di devozione verso la sua persona a volte rasentava il devozionismo fanatico, fino a sfiorare la superstizione o addirittura l’idolatria. Non di rado, durante l’adorazione eucaristica, alcuni fedeli fissavano il frate che pregava in alto, sul matroneo oppure in coro, anziché contemplare il Santissimo Corpo di Cristo solennemente esposto: in momenti come questi i rimproveri di Padre Pio certamente non mancavano. Quando si verificava qualche fatto straordinario – nella vita personale come in quella familiare o sociale – era frequente la scena di fedeli che andavano a prostrarsi o ad inginocchiarsi dinanzi al Santo, il quale li rinviava altrove, invitandoli ad andare piuttosto a ringraziare Gesù o la Madonna. Inoltre Padre Pio si trovò a gestire una fama popolare di portata internazionale, ma senza usufruire di alcuna scorta professionale – come avviene di solito per i personaggi pubblici di tale calibro – che potesse fare in qualche modo da cordone e tenerlo al riparo dagli assalti indiscriminati di chiunque, soprattutto delle persone più facinorose. Al suo passaggio nei corridoi del convento o nelle rare uscite in paese, le folle gli si accalcavano addosso, mettendo sovente a repentaglio la stessa incolumità fisica sua e dei frati che lo accompagnavano.

Una volta, richiamato dal padre superiore, rispose: «Ma se non faccio così la gente ci mangia! Guarda che mi fanno!» e mostrava il cingolo dell’abito tagliato e ridotto a coda di cane, il mantello sforbiciato in più parti, col pericolo di ferire il Padre stesso […] Una volta, pressato a morte dalla folla, esclamò: «Ma questo è paganesimo! Siamo in pieno paganesimo»[3].

La dimensione comunque forse più conosciuta della “scontrosità” di Padre Pio è quella cosiddetta di redenzione. Lo stesso Santo ne parla diffusamente a chi gli chiede conto di alcuni atteggiamenti talvolta da lui assunti. In modo particolare alcuni confratelli cappuccini che si avvicendavano negli anni nel convento di San Giovanni Rotondo domandavano spiegazioni a Padre Pio. Questi rispondeva quasi sempre che soltanto in quel modo avrebbe potuto scuotere la coscienza di chi lo ascoltava, e condurlo in tal modo ad un’autentica, sincera e duratura resipiscenza, che era il preludio di conversioni repentine, radicali e spesso perfino clamorose. La spiegazione più autentica di ciò che avveniva in lui, nel suo intimo, può fornirla probabilmente soltanto lo stesso Santo, il quale – a tal riguardo – così si esprime confidenzialmente nella lettera indirizzata al suo direttore spirituale, padre Benedetto, il 20 novembre 1921:

«Credetemi, padre mio, che le sfuriate che a volte ho fatto, sono state causate proprio da questa dura prigionia, chiamiamola pure fortunata. Come è possibile vedere Dio che si contrista pel male e non contristarsi parimenti? Vedere Dio che è sul punto di scaricare i suoi fulmini, e per pararli altro rimedio non vi è se non alzando una mano a trattenere il suo braccio, e l’altra rivolgerla concitata al proprio fratello, per un duplice motivo: che gittino via il male e che si scostino, e presto, da quel luogo dove sono, perché la mano del giudice è per scaricarsi su di esso[4]».

Padre Pio dunque, non gioiva, ma soffriva quando doveva essere paternamente duro, specialmente nel sacramento della Riconciliazione, e questa sofferenza la offriva al Signore, sia in quell’istante che successivamente nella preghiera, affinché potesse contribuire a redimere e salvare quel figlio spirituale che a lui si rivolgeva. La sofferenza che il Santo provava in questi casi ci proietta alla quarta dimensione dell’aspetto scontroso del suo carattere, individuata dal vice postulatore padre Di Flumeri: la dimensione che viene definita umana.

Padre Pio si faceva forza per essere burbero. Gli costava doversi mostrare in quell’atteggiamento, quando invece il suo temperamento, per la carica di carità divina e umana che lo invadeva, era tutto teso a «stringere al cuore» quanti gli si avvicinavano. Ecco perché egli non si turbava mai interiormente e, dopo la sfuriata, tornava subito sereno e sorridente. E soffriva intensamente quando un confratello veniva rimproverato e sottoposto a qualche penitenza[5].

In sintesi, è innegabile che anche nel Santo si trovavano quelli che vengono definiti dei «rimasugli di natura»[6], sui quali egli lavorò costantemente e pazientemente lungo l’intero arco della sua esistenza. Talvolta era egli stesso a rammaricarsi per non essere riuscito – nonostante gli sforzi – a progredire sufficientemente nella dolcezza verso il prossimo[7], ed esprimeva questo disagio anche ai suoi padri spirituali, facendo presente come il suo combattimento nello Spirito tuttavia andava avanti, e non si arrendeva davanti alle difficoltà. Dal canto loro i suoi direttori spirituali certamente non sottovalutavano questo aspetto, ma neanche lo enfatizzavano, consci com’erano che la tranquillità e la serenità interiori del Santo non ne venivano scalfite, e che gli scatti istintivi avuti di tanto in tanto da Padre Pio erano dovuti talvolta a residui del carattere, talaltra a motivi soprannaturali. Il frate di Pietrelcina, in ogni caso, non cessò mai il lavorio interiore, intendendolo come parte integrante della sua crescita nello Spirito di santità e di conformazione a Cristo Gesù, «mite e umile di cuore»[8] (Mt 11,29). Così scriveva il 23 ottobre 1921 al suo direttore spirituale, padre Benedetto:

«Madama dolcezza pare che vada un po’ meglio, ma non sono neppure io soddisfatto. Ma non voglio perdermi d’animo. Son tante, padre mio, le promesse che ho fatto a Gesù ed a Maria. Io voglio questa virtù mediante il loro aiuto ed in ricambio, oltre a mantenere le altre promesse fatte loro, ho promesso ancora di formarne oggetto delle mie assidue meditazioni ed ancora assiduo soggetto delle mie insinuazioni alle anime. Vedete, dunque, padre, che non me ne rimango indifferente nella pratica di questa virtù. Aiutatemi con le vostre e con le altrui preghiere[9]».

 

[1] Cfr. G. Di Flumeri, Il Beato Padre Pio da Pietrelcina, Ed. Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 2001, 386-387.

[2] S. Giovanni Paolo II, Homilia in sollemni canonizatione beati Pii a Pietrelcina habita, Die 16 Iunii 2002, in AAS XCIV (2002), 618.

[3] G. Di Flumeri, Il Beato Padre Pio da Pietrelcina, cit., 386.

[4] Epist. I, 1247.

[5] G. Di Flumeri, Il Beato Padre Pio da Pietrelcina, cit., 387.

[6] L’espressione è contenuta nella Positio super virtutibus, III/1, 904-921.

[7] Cfr. Epist. I, 1170.

[8] Non a caso il versetto evangelico si colloca all’interno della pericope scelta per la celebrazione eucaristica propria della festa liturgica di San Pio da Pietrelcina. Cfr. Ordine dei Frati Minori Cappuccini – Provincia di Sant’Angelo e Padre Pio, Messa propria di San Pio da Pietrelcina sacerdote, ed. Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 2004, 23.

[9] Epist. I, 1244.

 

 

Per approfondimenti si rinvia al testo Padre Pio e i doni dello Spirito Santo. Carismi ordinari e straordinari

di Giovanni Antonacci

edito da Libreria Editrice Vaticana, 2022

 

* Don Giovanni Antonacci, sacerdote originario di San Giovanni Rotondo, ha compiuto gli studi teologici presso la Facoltà Teologica Pugliese in Molfetta, conseguendo la Licenza in Antropologia Teologica nel 2014 con una Tesi intitolata: La fede come esperienza nel pensiero teologico di Joseph Ratzinger. Successivamente ha conseguito il Dottorato in Teologia Spirituale presso la Pontificia Università della Santa Croce in Roma. La Dissertazione dottorale è stata pubblicata nel 2022 dalla Libreria Editrice Vaticana con il titolo: Padre Pio e i doni dello Spirito Santo. Carismi ordinari e straordinari e la Prefazione del Card. Marcello Semeraro. Nel 2022 ha conseguito la Laurea Magistrale in Filosofia presso l’Università di Tor Vergata in Roma, ed è ora Dottorando in Filosofia presso la citata Università Santa Croce. Iscritto all’Albo dei giornalisti, dirige la Rivista “Vita Diocesana” e commenta quotidianamente la Parola di Dio su YouTube (canale VangelOggi – Don Giovanni Antonacci).