La vita secondo Natascia, i suoi quattro figli e il marito Giovanni

 …io mi ricordo – Testimonianze e storie di vita legate a Padre Pio e alla sua Opera

Non è stato difficile notarli. Erano in 6: due adulti, mamma e papà, e 4 bambini. Tutti assieme hanno partecipato al 33° Convegno Nazionale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, che si è tenuto nell’Auditorium Maria Pyle lo scorso settembre. Non è stato difficile notarli anche perché indossavano una vistosa t-shirt con l’effige del santo, come se la devozione fosse necessaria portarla addosso e testimoniarla iconograficamente. Ci siamo parlati giusto il tempo per scambiarci il numero di telefono e concordare un’intervista telefonica per raccontare uno spaccato di vita dei Gruppi di Preghiera. Natascia ha 37 anni e da pochi mesi è la capogruppo del Gruppo di Preghiera di Sant’Ignazio da Laconi, a Cagliari.

«La mia devozione nei confronti di Padre Pio la devo a mia madre, che è mancata nel 1995, quando io avevo solo 10 anni. Lei aveva questa statuetta del Santo che le aveva regalato sua sorella di ritorno da San Giovanni Rotondo. Pregava incessantemente rivolgendosi ad essa e così, io mi ricordo, Padre Pio è entrato nella mia vita piano piano. E non è mai andato via».

 

Vita complicata quella di Natascia, rimasta orfana di madre a 10 anni con altre 2 sorelle. Quella statuetta l’ha conservata lei, è il suo conforto nelle giornate più difficili. Adesso è madre di 4 bambini, con un marito sempre in giro per lavoro: Pablo di 14 anni; i gemelli Simone, un bimbo autistico buonissimo e silenzioso, e Giada di 11 anni; infine Gabriel di 8 anni. È stato proprio quest’ultimo a generare la mia curiosità sulla loro famiglia. Gabriel, prima dell’offertorio della Santa Messa, mentre eravamo in sacrestia in attesa delle istruzioni, se ne stava tutto assorto nei suoi pensieri e attendeva con pazienza che a lui e allo stemma del Gruppo venisse chiesto di incamminarsi per la celebrazione. Alla domanda di un curioso in coda con noi, “E questo giovanotto cosa vuol fare da grande?”, ha risposto con piglio e determinazione: “Voglio fare il Santo”.

Stupore generale e qualche risatina di tenerezza. «Sì, Gabriel lo dice spesso». «Anche Pablo, il figlio più grande, vuole entrare in convento con i padri cappuccini. Ha una vocazione che coltiviamo insieme, piano piano, un po’ alla volta, senza bruciare le tappe. Non vogliamo mettergli fretta, farà le sue scelte. Ne riparleremo quando avrà compiuto 18 anni».

«Il raccoglimento e la preghiera sono un insegnamento di mia madre, lei sì che aveva una grandissima fede. Pregava tanto, sempre, è stata la sua forza. Anche io mi sono aggrappata alla fede nei momenti difficili della mia vita. Quando è mancata mia madre dopo una breve malattia; quando mio padre ha deciso di andar via; quando i medici mi hanno detto che Simone è un bimbo autistico; quando mio papà è mancato, e in molte altre circostanze».

«Il Gruppo di Preghiera l’ho conosciuto per caso. C’era un cartello nella chiesa del Convento dei Cappuccini che dava appuntamento al 25 maggio. Ho iniziato a partecipare alle attività. Il primo venerdì del mese partecipiamo tutti all’adorazione eucaristica e alla Santa Messa. Sono dei momenti molto intensi».

Il suo ruolo di capogruppo è tutt’altro che casuale invece: «eravamo riuniti per stabilire chi dovesse fare da capogruppo. Ci hanno chiesto per tre volte di farci avanti ma nessuno prendeva iniziativa. Mi sono sentita chiamata. Mi sono detta: “forse dovrei farlo io”. La mia vita spesso mi ha dato questi segnali. Io ci ho riflettuto e poi deciso di agire. Adesso siamo in 60, è un gruppo molto nutrito, alcuni si sono aggiunti da poco. Ci incontriamo anche per la catechesi e per il rosario, sotto la guida del nostro assistente spirituale, Padre Fabrizio Cannella».

La fede, Natascia e suo marito Giovanni, la coltivano anche con i pellegrinaggi. «Siamo una squadra nel senso che lui guida il camper, io organizzo visite, escursioni, sante messe, rituali».

Nel cuore e nei ricordi ci sono i viaggi a San Giovanni Rotondo, Pietrelcina, Assisi e Norcia. Uno dei pellegrinaggi più lunghi è stato nel 2020, subito dopo la morte di suo papà. «Lui non era una persona facile con cui interagire. È stato un viaggio terapeutico. Da quell’esperienza sono tornata diversa, ho messo alle spalle una parte della mia vita che mi ha causato tanto dolore. Senza l’aiuto della preghiera non ce l’avrei fatta». «I pellegrinaggi in camper ci danno un senso di libertà unico. Speriamo presto di poterne fare di altri. Io Padre Pio lo considero un mio padre spirituale, anche se potrebbe sembrare impropria come definizione poiché non l’ho mai incontrato. A lui devo molto, soprattutto l’esercizio della preghiera. Io sento il bisogno di pregare come sento il bisogno di andare in pellegrinaggio per vivere l’esperienza della fede, alla ricerca di Dio. Con noi portiamo sempre tutti i nostri figli perché da genitori abbiano il dovere di trasmettere i valori in cui crediamo». «La spiritualità, l’amore per Dio, per gli altri, si coltivano e si tramandano. Anche la fede si può insegnare. Come ha fatto mia madre con me, io cercherò di fare lo stesso con i miei figli. Gesù ti bussa alla porta, ma spetta a te aprirla. Ecco, io sto insegnano ai miei figli ad aprire la porta. Poi faranno le loro scelte».

E poi nella nostra conversazione è spuntata la guerra. Forse perché abbiamo ricordato insieme il contesto storico in cui nacquero i Gruppi di Preghiera, negli anni ‘40 con l’invito di Papa Pio XII a pregare per la fine della seconda guerra mondiale. «Io parlo spesso della guerra ai miei figli, del dolore e della morte che semina in Ucraina. Lo faccio anche quando non vogliono ascoltarmi. Si sa come sono i ragazzi. Esorto tutti alla preghiera. L’unica strada che abbiamo noi comuni mortali è di “armarci” con la coroncina del rosario, ed è con quella che dobbiamo fare le nostre battaglie».