La testimonianza di Flavia, il suo legame con Padre Pio e la Casa Sollievo della Sofferenza

Avevo 22 anni quando ho incontrato per la prima volta Padre Pio e stavo attraversando un momento veramente difficile. Sono arrivata a San Giovanni Rotondo dalla Sicilia per la prima volta nel 1966, assieme a mia zia Lilla, vera maestra di preghiera e di vita cristiana. In quel primo e fondamentale incontro, dopo la confessione con Padre Pio, la mia insicurezza estrema e la mia grande sofferenza spirituale, che mi avevano travolta e quasi distrutta, si tramutarono in sicurezza, gioia e amore, pace e serenità dell’anima.

Nei miei primi viaggi a San Giovanni Rotondo la cosa più emozionante era l’atmosfera che lì si viveva: un paese toccato dalla grazia, dove si avvertiva la presenza di Dio, in modo speciale, viva e reale. La notte ci si svegliava alle 4 per vestirsi in fretta, salire il Viale Cappuccini, arrivare fra i primi e mettersi in fila per entrare in chiesa e partecipare alla Santa Messa che Padre Pio celebrava alle 5 del mattino.

Nel buio della notte ci si incamminava con in mano la corona del rosario, sgranando i grani, recitando l’Ave Maria con amore e solennità, con una cadenza ritmica, sempre uguale; solo questo brusio rompeva il silenzio assoluto della notte.

Erano notti speciali, dove tutto era trascendente, quasi irreale, solenne, austero e nello stesso tempo si respirava tanta serenità e speranza. Si respirava aria di santità, la presenza di Dio era certezza, realtà che ti avvolgeva nel mantello della sua misericordia e del suo amore.

Arrivati nella piazza antistante la porta della chiesa, stavamo tutti ammucchiati l’uno accanto all’altro per ripararci dal vento freddo del Gargano aspettando l’apertura della chiesa per partecipare alla Santa Messa. In questa attesa trepidante, quanti sentimenti attraversavano i nostri cuori, misti alla convinzione di partecipare e vivere un momento speciale, unico, irripetibile.

Una volta entrati in chiesa, in fretta si cercava di guadagnare un posto più vicino all’altare. Io ero sempre accanto all’organo di lato, un luogo più nascosto e più facile per trovare un angolino più vicino. Cosa si viveva in quella Messa è difficile da esprimere. Nel profondo silenzio, un povero frate celebrava il sacrificio di Gesù sulla croce. Una figura ieratica, ma allo stesso tempo semplice, un volto che sembrava essere quello di un bambino dal colorito roseo, terso, puro, dove l’innocenza traspariva palese. Era una persona fatta preghiera, che parlava con Dio, conversava con Lui in un mistero di amore e di grazia. Si restava ammutoliti, mentre le parole in latino della Santa Messa, erano scandite, chiare, serene, intrise di un amore immenso. Quante lacrime rigavano il suo viso! Erano lacrime di amore puro, di partecipazione sentita, di donazione piena incondizionata. La Santa Messa durava due ore. Le persone partecipavano alcune in piedi, altre sedute, altre ancora in ginocchio, ma non si avvertiva stanchezza, solo partecipazione piena, commozione infinita.

Uscivamo dalla chiesa diversi, felici, pronti a tutto, ad affrontare la vita con le sue gioie e i suoi dolori, perché avevamo trovato Dio, avevamo visto Dio. Attraverso gli occhi profondi, immensi, puri di un povero frate, vittima di amore, che parlava con Lui. Quegli occhi grandi, profondi, che ti scrutavano con tanto amore erano gli occhi di Dio.

Questo significava avvicinare Padre Pio, questa era la sua missione: portarci e farci vedere Gesù.

Poi si ritornava a casa con l’animo pieno di santa letizia e si continuava la giornata, semplice, normale, ordinaria ma diversa perché tutto si faceva e si viveva alla presenza di Gesù, perché poco prima Lo avevamo visto, Lo avevamo trovato e non volevamo più vivere senza di Lui.

Dopo la morte di Padre Pio sprofondai nel dolore, mi sentii sola, nel vuoto. A poco a poco, con la forza della fede e con l’aiuto del Signore, uscii da questo tunnel, aiutata da Angela Stramaglia, figlia spirituale di Padre Pio, che abitava a San Giovanni Rotondo, per me una vera mamma dello spirito; le fui legata da grande affetto, fino alla sua morte. Con il suo aiuto ed il suo accompagnamento seguii la strada che Padre Pio aveva indicato ai suoi figli spirituali, di cui indegnamente faccio parte. In Angela trovai sempre conforto e coraggio nelle mie varie situazioni, sia spirituali che fisiche. Mi ospitava a casa sua quando mi recavo a San Giovanni e quando tornavo a Messina, dove risiedo tuttora, ci scrivevamo spesso e ci sentivamo con lunghe telefonate per scambiarci conforto e sostegno per tutte le varie vicissitudini della nostra vita.

Nel 1985, vincendo la mia timidezza, mi avvicinai a Fra’ Modestino, il portinaio del convento, un frate accogliente e illuminato. Lo incontrai mentre saliva le scale della cripta, dove riposavano le spoglie di Padre Pio, per andare nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. Alla mia richiesta di amicizia, mi aprì le braccia, con gioia, come se già mi conoscesse. Da lì nacque una vera amicizia, santa e importante, con me e con mio marito.

 

«Tornerai a ringraziare Padre Pio»

Nel 1987 arrivò una pesante prova: due noduli maligni ai due seni, scoperti in una indagine radiologica all’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, durante un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo con amici. La visita, che non era stata prenotata, mi fu concessa da Suor Myriam Brusa, una stupenda suora, che dirigeva l’ufficio dei pellegrini, alla quale ero legata da un’amicizia sincera, intrisa di affetto ed intesa spirituale; a lei spesso scrivevo, ricevendo consigli e amore. Mi voleva bene come ad una figlia, cosi mi diceva, e anche io ricambiavo con sincero affetto filiale. Avevo solo 43 anni.

Uscita dall’Ospedale, sola e impaurita, mi recai nel pomeriggio da Angela per trovare rifugio e conforto. Mi rassicurò e mi suggerì di andare da Fra’ Modestino per un consiglio su quello che dovevo fare. Con l’animo trepidante e con il cuore contrito, mi recai da lui e gli raccontai l’accaduto. Egli mi disse: «Vedrai che verrai a ringraziare Padre Pio. Non è niente, stai tranquilla, però prega tanto, tanti rosari al giorno, stringiti in preghiera alla Vergine Maria e a Padre Pio e troverai forza e coraggio».

Quando arrivai a casa, mio marito si meravigliò della mia tranquillità. Non era merito mio ma del Signore, grazie anche all’intercessione di Padre Pio e alle preghiere di Angela, Fra’ Modestino e Suor Myriam. A casa tutti si preoccuparono e cominciò la ricerca di professori illustri. Andai a Milano dal professore Cupmas, un radiologo del professore Veronesi che, con la mammografia, confermò la diagnosi: due carcinomi duttali infiltranti ai due seni da togliere subito. Mi prenotò una visita con il professore Veronesi che confermò la diagnosi e mi consigliò un intervento radicale. Ci mandò a San Giovanni Rotondo dal professore Tardio, suo amico. La sera stessa partimmo per San Giovanni Rotondo, era il 25 aprile; il 29 aprile fui operata con l’asportazione totale dei due seni e relativi scavi ascellari. Padre Pio mi aveva voluto a casa sua.

Quando, prima di operarmi, andai da Fra’ Modestino avvilita e in lacrime, lui rimase meravigliato ripetendo sempre: “Ritornerai a ringraziare Padre Pio”. Poi prese un crocifisso benedetto da Padre Pio, e disse: “Preghiamo che i noduli non abbiano le radici”. Fu così: i noduli erano altamente maligni ma senza nessuna metastasi, i linfonodi erano indenni. Cosi andai ogni anno e, nei primi tempi anche più volte l’anno, per i vari controlli ma soprattutto per ringraziare Padre Pio.

La Casa Sollievo della Sofferenza è stata per me una vera casa, in essa circolava un grande Amore; quando fui dimessa piangevo per dover lasciare quel miracolo di Amore e di Carità. 

Angela Stramaglia, mia madre spirituale mi curò durante la mia degenza in ospedale ma, soprattutto, curò il mio spirito con i suoi consigli e la sua preghiera. Era vissuta all’ombra di Padre Pio, quindi una vera maestra di fede e di amore. Sono stata ospite a casa sua dopo l’intervento e quando periodicamente ritornavo con mio marito per i controlli, con quanta gioia ci aspettava!

 

«Non posso chiedere un’altra grazia a Gesù»

Avevo chiesto al Signore 6 anni di vita dopo il tumore al seno, in modo che i miei figli fossero più grandi e autonomi. Gesù me lo aveva concesso. Al settimo anno però mi arrivarono delle avvisaglie: un tumore all’utero. Non avevo il coraggio di chiedere altro al Signore; allora con la forza della fede mi rivolsi a Maria Santissima e le dissi: “Mamma non posso chiedere un’altra grazia a Gesù, Egli già me ne ha concessa una tanto grande ma tu, come a Cana di Galilea, puoi chiederla, affinché trasformi l’acqua del tumore nel vino della guarigione”. Lo chiesi con tanta fede e fiducia e aspettai. Fui operata, con l’asportazione di utero e ovaie. A San Giovanni Rotondo il ginecologo, professore Bruno Pavone, da cui ero andata per un controllo, mi disse che si era trattato di un tumore benigno. Gesù aveva cambiato l’acqua in vino, grazie all’intervento di Maria! Ne ho avuto poi conferma sentendo un forte profumo di rose. Ciò rivela l’immenso amore che la Vergine ha per ciascuno dei suoi figli.

Quante anime belle, cresciute attorno a Padre Pio hanno fatto parte della mia vita!

Ora sono ancora sotto la croce per una mielofibrosi. Un tumore raro del midollo, ma non ho paura. Ci penserà Gesù.

Sono felice, ma anche confusa perché il Signore ha elargito tanta grazia a me, immeritevole e fragile. Solo così si può spiegare: il Signore si serve dei poveri e dei miseri per rivelare il Suo amore per tutte le anime che Egli ama con immenso amore.                                          

Spero di comportarmi bene, come mi ha esortato Padre Pio, quando dopo la confessione gli ho chiesto di accettarmi come figlia spirituale e, con il suo aiuto, salvare la mia povera anima, vivendo questa nuova prova per amore di Gesù, amandolo sempre di più, fino alla fine dei miei giorni.